cenni storici
L’abbazia benedettina di Praglia sorge ai piedi dei Colli Euganei, a 12 km da Padova, lungo l’antica strada che conduceva ad Este. Il suo nome deriva dal toponimo Pratalea: località tenuta a prati. La fondazione del monastero è databile agli anni tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo: dell’originario impianto medievale oggi rimane soltanto la torre campanaria. Dopo le due interruzioni ottocentesche – la prima per decreto napoleonico (1810), la seconda per la legislazione sabauda (1867) – il 26 aprile 1904 riprende a Praglia la vita di preghiera e lavoro, secondo la Regola di San Benedetto.
attraversando i chiostri
L’attuale complesso abbaziale (1460-1550 ca.), il cui stile integra felicemente il tardo gotico e l’incipiente rinascimento, si articola in quattro chiostri tra loro comunicanti. Li percorriamo qui idealmente, seguendo l’abituale itinerario di visita.
chiostro rustico 1550-1600 ca.
La data del 1720, impressa sul portale del lato occidentale, documenta la conclusione del lavori che trasformarono in chiostro il cortile di lavoro a sud del monastero, presso l’area coltivata ad ulivi attigua al monte delle Are. Allo stesso periodo risale il pozzo in trachite posto al centro.
Gia nel secolo precedente era stato innalzato il primo piano del lato sud ed edificato quello ovest, ma nel Settecento furono ulteriormente sistemati i locali e gli spazi per le attività agricole. Vi erano le stalle, i fienili, i depositi per attrezzi e anche il frantoio per la produzione dell’olio, destinato al monastero e al territorio vicino.
Pur se modificati da recenti recuperi, mantengono a tutt’oggi il loro impianto originale sia la lunga barchessa che si protende verso la campagna, sia le stalle coperte da volte a crociera impostate su pilastri centrali.
In passato il chiostro rustico ospitò alcune delle iniziative formative promosse dal monastero: tra il 1798 e il 1810 fu sede del collegio pre-universitario per i figli delle classi borghesi e aristocratiche del Veneto, mentre nel 1865 vi prese avvio quella scuola agraria dalla quale nacque l’Istituto “Duca degli Abruzzi” di Brusegana.
In passato il chiostro rustico ospito alcune delle iniziative formative promosse dal monastero: tra il 1798 e il 1810 fu sede del collegio pre-universitario per i figli delle classi borghesi e aristocratiche del Veneto, mentre nel 1865 vi prese avvio quella scuola agraria dalla quale nacque l’Istituto “Duca degli Abruzzi” di Brusegana.
chiostro botanico 1480
Il lungo rettilineo, aperto nel 1572 per collegare l’abbazia alla via Montanara, conduce all’ingresso, ristrutturato in forme rinascimentali tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. L’avancorpo, sormontato da un’ariosa loggetta ad arcate monumentali, protegge il portale d’accesso tardo quattrocentesco realizzato in pietra tenera, decorato dalla stella, emblema dell’abbazia, e coronato dalla lunetta raffigurante i patroni celesti: al centro la Vergine con il Bambino, ai lati S. Benedetto e S. Giustina. Si ritiene che verso il 1490 siano stati ultimati i lavori che trasformarono quello che forse era un cortile di servizio nel chiostro detto poi botanico perché destinato in passato alla coltivazione delle piante officinali. A tutt’oggi esso collega all’ingresso le sale, i laboratori e i depositi del pianterreno e introduce, attraverso lo scalone principale e una scala secondaria, al piano superiore del monastero. Lungo i lati del portico, alternando il rosso del marmo di Verona e il bianco della pietra d’Istria, si susseguono le colonne sormontate da capitelli ornati da foglie d’acanto. Le pareti affacciate sul giardino incluso sono decorate da monofore e bifore ad arco trilobato incorniciate dalla gialla pietra di Nanto. In alto corre un fregio in cotto, coronamento di tutte le murature del complesso monastico, che conserva tratti dell’originale colorazione. La delicata policromia dei vari elementi e alcuni stilemi formali rivelano un gusto ancora tardo gotico in armoniosa coesistenza con la nitida struttura rinascimentale. A quest’ultima appartengono i portali lapidei ornati da candelabre e cornucopie, segno e promessa di abbondanza di doni. La destinazione all’accoglienza del chiostro botanico è sottolineata dal permanere del tradizionale nome di “Porta della carità” con cui viene ancora chiamato l’ingresso, presso cui si trova la portineria.
chiostro pensile 1490
Intorno al 1490, sull’area occupata dal chiostro medievale denominato “paradiso”, ebbero inizio i lavori per l’edificazione dell’attuale chiostro pensile; la data iscritta sull’architrave del pozzo testimonia che nel 1559 era certamente ultimato. Artefici della sobria ed elegante esecuzione, ispirata ai canoni rinascimentali, furono architetti vicini ai Lombardo, che l’articolarono in sette arcate a tutto sesto per lato sostenute da colonne bombate, interamente realizzate in pietra d’Istria e finemente lavorate nei capitelli corinzi.
Il cortile, costruito a piani inclinati convergenti al centro, poggia su quattro pilastri a volta, impostati sul rialzo roccioso. Un sapiente sistema di raccolta e di filtraggio su modello delle cisterne veneziane, permetteva di convogliare le acque piovane nella grande cisterna sottostante che alimentava il pozzo centrale. L’epigrafe incisa sul fregio del candido pozzo ricorda, sottolineandole con la musicalità del verso, le proprietà naturali e soprannaturali dell’acqua, con una chiara allusione al battesimo «AESTUS. SORDES. SITIM. PULSO PECCATAQUE. DITO. COELUM» (Rimuovo il calore, la sporcizia, la sete e i peccati e arricchisco il cielo).
Il chiostro pensile raccoglie intorno a sé i locali più rappresentativi della condivisione e li collega alla chiesa abbaziale e agli ordinari spazi di vita. Tale concentrazione di luoghi benedettini regolari è particolarmente significata dal ricco simbolismo dell’arredo scultoreo d’ispirazione lombardesca e dalla decorazione pittorica che ne illumina il senso spirituale.
sala capitolare sec. xv-xvi
Dal corridoio ovest, attraverso il portale affiancato da due bifore a tutto tondo, curiosamente eccentrico rispetto alla cadenza delle arcate sovrastanti, si accede alla Sala del Capitolo. L’ambiente destinato alle riunioni della comunità presieduta dall’abate, fu realizzato in armoniche e raccolte proporzioni con ogni probabilità nell’ultimo quinquennio del Quattrocento. Il portale in pietra di Nanto con capitelli a motivi floreali, presenta nello spessore del muro due tondi con l’Agnus Dei e il Velo della Veronica; sui lunettoni superiori sono ritratti S. Benedetto e i discepoli Mauro e Placido. La decorazione interna fu realizzata intorno al 1530-35 da Girolamo Tessari detto dal Santo, pittore legato alla committenza benedettina, di quieta arcaicità, restio all’innovazione dei circoli artistici padovani più progrediti. Nel dipingere la Deposizione di Cristo l’autore utilizzò la divisione in tre vele del soffitto ripartendo la composizione mediante finte colonne; vivace la scelta dei colori e significativa l’alternanza tra la delicata resa del dettaglio, come nei pannelli di marmo del sarcofago o nei fiori in primo piano, e il segno carico per la resa espressiva dei personaggi. Al centro, sullo sfondo di un vasto paesaggio disegnato da profili montuosi e insediamenti urbani, egli pose le figure di Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e Giovanni, pietosamente intenti a deporre nel sepolcro il corpo di Cristo. Nel gruppo la compostezza dolente di Maria contrasta con un’appassionata Maddalena che spalanca drammaticamente le braccia; sull’altura sovrastante, la croce vuota si staglia nel cielo cangiante. All’estremità della scena che si estende oltre le colonne, sono raffigurate due pie donne. S. Benedetto e s. Giustina occupano con equilibrata monumentalità le strette nicchie laterali sovrastate dagli ampi oculi delle lunette superiori in cui sono effigiati Davide e Isaia. Tutt’intorno le pareti, le panche per accogliere l’adunanza dei monaci, al centro il badalone, sotto il pavimento l’ossario, a custodire i resti dei fratelli defunti.
refettorio monumentale sec. xv-xvi
Il portale d’ingresso con i due lavabi introduce al Refettorio Monumentale (riferibile a Pietro Lombardo, 1495 ca.). Sulla parete di fondo dell’ampia sala campeggia la bellissima Crocifissione (1495-1500), opera del vicentino Bartolomeo Montagna, che recupera il tema caro alla tradizione dei refettori benedettini fino al XV secolo, in seguito sostituito dall’Ultima Cena.
Sulla parete ovest spicca il pulpito, opera tardo quattrocentesca; si tratta di un elemento fondamentale nei refettori monastici perché destinato alle letture bibliche e morali durante i pasti consumati in silenzio. Il complesso delle mense e degli stalli che arredano la grande aula e opera di fine ebanisteria intrapresa nel 1727 grazie alle donazioni di alcuni monaci. Vi sono nove mense in noce per un totale di sessantacinque posti distinti. Gli insoliti emblemi, eseguiti da Bartolomeo Biasi, che ornano i dossali rispondono ad un organico programma iconografico stilato da Girolamo Rosa, benedettino di Praglia, il quale prendendo spunto dai testi della Sacra Scrittura e del Padri della Chiesa, dalla Regola e dai relativi commentatori, attingendo inoltre agli autori classici e alla simbologia dell’epoca, ideò a coronamento di ciascuno stallo un immagine accompagnata da un motto.
Nove tele di Battista Zelotti, trasferite in Refettorio nel 1768 in seguito al nuovo allestimento della Biblioteca antica, si alternano alle otto grandi finestre sulle pareti laterali. La disposizione delle tele, compatibilmente con la struttura della sala, riproduce quella che si presume fosse l’originale sequenza della Biblioteca, secondo una lettura che vede affrontati, su pareti opposte, alcuni episodi del Nuovo Testamento e le corrispondenti prefigurazioni dell’Antico.
loggetta belvedere sec. xvii
All’angolo sud-est del chiostro pensile, volto verso un altro accesso al monastero, si può godere la suggestiva vista della campagna e dei vicini colli dalla cinquecentesca Loggetta detta del Fogazzaro in omaggio allo scrittore vicentino, che così la descrisse nel suo Piccolo mondo moderno: «la loggetta che presso il refettorio si pore sugli orti, al parapetto dell’arcata che guarda lo sconfinato piano di levante».
A sinistra si scorge l’edificio della clausura con le celle dei monaci, disposte attorno allo spazio interno del chiostro doppio (1469). È qui dove il monaco coltiva in particolare la ricerca interiore nel silenzio e nella preghiera.
biblioteca antica sec. xvi
La Biblioteca antica si raggiunge salendo la settecentesca scala, ove sono stati collocati, tra opere di varia provenienza, alcuni reperti medievali rinvenuti in loco. Meritano attenzione i due frammenti di lastra sepolcrale di un abate (sec. XIII), probabilmente già inserita nel pavimento della chiesa originaria di Praglia e la lapide proveniente dalla chiesa scomparsa di S. Urbano di Padova recante l’epitaffio dell’abate Antonio da Casale.
Alcune peculiarità della Biblioteca antica quali la sopraelevazione rispetto al rimanente fabbricato, l’ariosa esposizione e la centralità d’accesso, denotano l’importanza attribuita al luogo e ne fanno risaltare l’eccellenza della funzione. Il maestoso portale tardo quattrocentesco che oggi introduce all’ampio vano è decorato con candelabre di fiori, frutta e uccelli, coronate da capitelli con coppie di grifoni; esso presenta un sottarco a cassettoni e reca al culmine il monogramma di Cristo sormontato da una formella con il Crocifisso.
Straordinariamente precoce e innovativa fu l’iniziativa, avviata nel 1562 dall’abate Placido da Marostica, di decorare il soffitto con grandi tele, racchiuse entro cornici lignee e raccordate secondo un complesso programma iconografico agli altri dipinti disposti originariamente sulle pareti. La realizzazione di questa che a ragione può considerarsi al contempo biblioteca e pinacoteca, fu affidata a Battista Zelotti, sodale di Paolo Veronese.
Il cinquecentesco badalone, in legno di noce e ciliegio scolpito e intagliato, era collocato originariamente nel coro della chiesa.
Chiesa abbaziale sec. xv-xvi
Dedicata alla Beata Vergine Maria Assunta, è il cuore del monastero e della vita comunitaria. I monaci vi si raccolgono più volte al giorno per la preghiera liturgica, riconoscendo il primato di Dio e della sua misericordia. Qui si esprime visibilmente la comunione orante con tutta la Chiesa e il ministero di intercessione per il mondo intero.
I lavori per la costruzione della chiesa di S. Maria che ancor oggi, preceduta dall’ampia scalinata, s’innalza maestosa sullo sperone roccioso, ebbero inizio l’11 luglio del 1490, con la benedizione solenne della prima pietra da parte dell’abate Giovanni Francesco Buora.
L’edificio attuale è stato costruito tra il 1490 e il 1550, su progetto attribuito a Tullio Lombardo.
L’interno, suddiviso in tre navate con cinque cappelle laterali per parte, è scandito dall’iterazione modulare del quadrato. La navata principale, che raddoppia la larghezza delle secondarie, è cadenzata dagli esili pilastri ionici a sezione quadrata, elementi tipici dei progetti di Tullio Lombardo. Su di essi poggiano le arcate che sostengono la volta a botte dell’invaso centrale
Pittori veneti dei secoli XVI-XVII – Campagnola, Zelotti, Varotari, Veronese, Badile, Longhi – ne hanno ornato rispettivamente la zona absidale, la cupola e le cappelle laterali.